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Babbo Natale vive in Cina


Il 90% di ciò che abbiamo intorno non è italiano e soprattutto non è fatto a mano, o come sarebbe meglio dire non è artigianale.

Il 90% dei beni che abbiamo intorno è un prodotto industriale costruito in serie che molte volte non dura più di due anni.

Perché? Di cosa sono fatti questi prodotti e dove vengono effettivamente? Come spesso dico, facciamo un passo indietro sia per vedere più da lontano e in maniera più chiara un contesto che ci ingloba e che ci blocca la vista e sia per capire dalla storia quello che sta accadendo ora.

Proviamo a trovare una prima risposta dall’etichetta degli oggetti che usiamo. Leggiamo di cosa sono composti e dove vengono realizzati.

Molto tempo fa leggevamo senza problemi la dicitura Made in Italy, che oggi è stata sostituita da quella Made in PRC che non è nientepopodimeno che la sempre intramontabile Made in China. PRC sta per Repubblica Popolare Cinese che spiega in un acronimo semplicemente la sua posizione politica attuale.

Quando vediamo questa sigla sappiamo già che teniamo fra le mani un oggetto con un costo molto basso solitamente, ma soprattutto di scarsa qualità.

Il mercato è invaso da questi prodotti che vanno dal comune abbigliamento aperto a tutte le tasche, ai prodotti alimentari, cosmetici ma soprattutto all’elettronica.

Il pensiero comune accusa l’industrializzazione cinese come la fulcro di una crisi economica che ci tiene in morsa da tempo, ma su che basi accusiamo la Cina di questo? Chi è che compra e richiede questi prodotti a basso costo effettivamente? Siamo sicuri che questo mercato sia stato imposto dalla Cina e non da una richiesta sempre maggiori di tali produzioni? Chi è la Cina? E come funziona il suo mercato?

Inizialmente la mia polemica nacque dal pensiero generale molto influenzato dal malumore sociale che vivo. Non c’è lavoro, mantenere quello che si ha diventa sempre più difficile e il mio potere di acquisto si assottiglia giorno dopo giorno. Comprare prodotti a un costo così basso è quasi l’unica salvezza alle volte e vedere negozi di carattere cinese spuntare come funghi dietro ogni angolo alimenta il sospetto e un odio non giustificato, che peggio mi porta ad ignorare la vera portata che sta dietro questo impero economico.

Per capire quello che sto vivendo ho ritenuto necessario per me stessa e per gli altri informarmi e aiutare ad informare su ciò che abbiamo per le mani e chi davvero ci tiene sotto una campana di vetro.

Se tenendo un oggetto fabbricato in Cina, potessimo saltare immediatamente nella loro cultura, scopriremmo cose che non ci saremmo mai immaginati. D'altronde un esperimento del genere non è poi così difficile dato che probabilmente stai leggendo questo articolo dal tuo smartphone, dal tuo tablet o dal tuo computer. E non c’è bisogno che io faccia una diversificazione fra un I-phone o Samsung, o fra Apple o Microsoft dato che tutti questi oggetti vengono fabbricati in Cina.

Non è una novità dal momento che la stessa Apple afferma da tempo che i suoi componenti vengono fabbricati ed assemblati al sol levante nelle ormai famose e polemizzate fabbriche Foxxcon, entrate nell’occhio del ciclone dopo diversi suicidi avvenuti al suo interno nel 2010-11. Prima di questo avvenimento la stampa nazionale poco sapeva dei soprusi e dei diritti non riconosciuti ad una massa di operai impressionante, tanto da costituire nelle proprie fabbriche vere e proprie città con propri negozi, propri ristoranti e propri appartamenti. Ovvio pensare che non sia per un benessere generale ma più per un controllo totale degli operai.

Oggi giorno molti fanno ancora fatica a pensare che gli oggetti o i vestiti che indossano quotidianamente provengano davvero da mani cinesi ma basta fare un rapporto e un ragionamento logico basato sulla loro struttura sociale per capire che non può essere altrimenti. Sapete quanti I-phone vengono venduti ogni minuto? Circa 2.000 unità. Sembra folle? Lo pensavo anche io. E come fanno le catena H&M o Zara a poter rifornire ogni tre settimane i propri negozi in tutto il mondo? Per abbattere la richiesta incessante del mercato di prodotti c’è bisogno di una produzione ininterrotta degli stessi. Per avere una produzione ininterrotta bisognerebbe avere delle fabbriche munite di macchine automatiche che sappiano come stampare, posizionare ed assemblare ogni pezzo. Il costo di queste macchine è una cifra non ancora esistente dal momento che questo tipo di macchine che iniziano e finiscono il lavoro autonomamente ancora non esistono. In mancanza di tali mezzi allora come poter soddisfare un mercato sempre sofferente che richiedere questi prodotti in continuazione? La soluzione sarebbe creare una lista di attesa lunghissima come avveniva con la produzione artigianale, dal momento che poche persone sapevano fare quel prodotto. Oppure aumentare molto il prezzo dello stesso per giustificare la fretta ma comunque la qualità nella realizzazione; una cosa che avrebbe dato accesso al prodotto comunque a pochi. O ancora mettere moltissime persone a lavoro in una catena di montaggio così da velocizzare il processo mantenendo basso il costo di manodopera dato che ogni operaio fa un movimento semplicissimo, ripetitivo e nient’altro.

Da questa semplice analisi che ci rimanda alla ormai passata rivoluzione industriale possiamo capire che il rapporto di produzione è semplice. Una fabbrica munita di macchine autonome ha un alto costo iniziale ma un altrettanto alta produzione che soddisferebbe in pochissimo tempo il mercato ma questo significherebbe anche una disoccupazione mai vista prima e un potere di acquisto pari a zero. Ciò che viene prodotto non può essere comprato se non c'è lavoro.

Al contrario una fabbrica munita di migliaia di dipendenti a flusso continuo, posti in catena di montaggio a compiere una sola identica operazione per un tempo stabilito hanno un costo irrisorio ma forniscono una produzione comunque molto alta in poco tempo e in grosse quantità. Questo soddisfa la richiesta del mercato occupando una grossa fetta di popolazione e creando riciclo monetario.

Detta così sembra quasi la soluzione del secolo, ma provate a stare per 18 ore senza pause a compiere sempre lo stesso movimento per poco più di 900 yuan ( 128.00 € cambio valuta dicembre 2015) al mese da cui detrarre le spese per l’affitto dell’appartamento obbligatorio all’interno della fabbrica, per il cibo e per le bollette. Rimangono così con 80 yuan da poter usare per se. Quello che si potrebbe comprare è quasi sempre qualcosa fabbricato da loro stessi. il denaro quindi non è mai realmente loro ma comunque del sistema per cui lavorano.

Questa condizione non è affatto assurda, ma la realtà economica in cui vive la Cina costretta a lavorare a pressioni insostenibili da un mercato occidentale che ha le sue radici nei lontani anni 70’.

La storia ci insegna sempre e solo da essa riusciamo a trovare la soluzione a problemi attuali come quello della crisi. La Cina è un paese che ha subito scontri interni non solo a livello economico ma soprattutto sociale. Costituito per la maggior parte da una popolazione agricola e povera è sempre stato facile in passato poter manipolare la popolazione per ideali e missioni politiche. Farò un discorso generale per capire meglio il contesto moderno ma confido in voi e nella vostra curiosità nell’approfondire poi in seguito questi argomenti.

La Cina è stato ed è tutt'ora un paese molto particolare, vissuto per anni in condizioni sociali disordinate con un popolo sballottato fra diversi poteri territoriali. La pecca è la sua scarsa scolasticità in quanto ancora oggi è facile trovare luoghi in cui l'istruzione è molto bassa e dove il lavoro è quasi esclusivamente agricolo. Di conseguenza accadde quello che abbiamo già visto su i libri di storia nei nostri anni migliori: Una rivoluzione industriale Cinese.

I giovani delle province interne si spostano sulla costa e verso Taiwan dove sono concentrate le città più sviluppate e ricche di lavoro. Di conseguenza non è difficile trovare dentro queste fabbriche ragazzi che vengono da molto lontano e che vivono ormai all'interno dei complessi lavorativi per evitare un viaggio lunghissimo.

La scarsità di lavoro e di un dislocamento adeguato dei complessi industriali su tutto il territorio fa si che vi sia un riversamento al limite sulla costa e un abbandono dei terreni interni. Il desiderio di modernità e di apparente comodità attira i giovani come mosche verso la luce.

Ciò a cui vanno incontro però è un barattolo di colla viscosa da cui difficilmente riescono ad uscire. Difatti la loro aspirazione di guadagnare molto lavorando in fabbrica, si tramuta presto in un lavorare per sopravvivere alla fabbrica. Non vi starò qui ad illustrare l'esatta dinamica perché come ho fatto io per giorni scrivendo su i motori di ricerca Foxxcon – Cina – Lavoro – Sfruttamento, troverete tutte le informazioni già tristemente note. Ma vi lascerò comunque a fine documento alcuni link utili.

È sempre durante gli anni 70' dopo un regime economicamente e lavorativamente centralizzato che Deg Xiaping e Li Xianian decisero di riaprire il mercato ad aiuti esterni che chiaramente si trasformarono in una privatizzazione di alcune industrie di settore: principalmente elettronico. Mao Zedong per quanti errori abbia fatto aveva un ideale preciso in testa, cioè che la privatizzazione avrebbe portato ad un capitalismo di pochi e questo in un territorio povero non era ammissibile. Represse con la forza ogni possibile atto di questo genere e impose con la violenza il suo pensiero cercando di ampliare l'industria non per tornaconti politici ma per creare dei beni basilari per la Cina. Lo stesso vale per la questione agricola che cercò di spingere al massimo senza però calcolare una cosa fondamentale. Il territorio cinese non è facile da gestire, basta cambiare regione per trovare un clima completamente diverso con tipi di terreni diversi, di conseguenza un'agricoltura centralizzata era impossibile. Il suo piano fallì, riportando l'economia a livelli minimi anche se libero.

È quindi durate i 70' che il mercato si riaprì agli aiuti esterni ed è qui che si insinuarono i capitalismi occidentali che portarono si benefici a livello lavorativo ma secondo il mio parere schiavizzarono il mercato orientale alla loro domanda. La Cina era un paese troppo grande ma anche troppo povero per non rimanere al passo con i paesi industrializzati del tempo. È scesa a compromessi.

Oggi la Cina è il secondo paese al mondo per esportazione ed importazione, ma la sua moneta sta avendo una svalutazione mai vista portando l'inflazione a livelli rischiosi ma anche permettendo al paese di poter esportare di più. Una mossa che rende il popolo impossibilitato a comprare ma allo stesso tempo, un paese ricco di domanda di acquisto esterno. Questa svalutazione è stata presa in base all'andamento del mercato mondiale e non tramite i soliti controlli sul tasso che avvenivano dalla banca centrale per mantenere l'equilibrio. Una mossa rischiosa che porta squilibri nell'economia globale e più che altro molta paura. Questi ultimi paroloni portano facilmente alla distrazione quindi lo spiegherò in parole povere che sono più comode per tutti. La moneta cinese al momento vale così poco che io con un solo euro potrei comprare 10 yuan. E questo significa che chiunque nel mondo può farlo e di conseguenza a tutto il mondo conviene comprare in Cina che negli altri paesi.Se agli altri paesi questa cosa fa abbastanza arrabbiare e impaurire ora sapete il perché molti odiano la Cina. Perché senza chiedere permesso a nessuno sta cambiando le regole del gioco economico.

Prima di arrivare a conclusioni affrettate, vi chiedo di non farvi prendere da sbalzi emotivi in favore o contro la Cina, ma di analizzare più approfonditamente l'economia globale per capire che non c'è un colpevole ed una vittima, dietro la crisi mondiale, ma c'è solo un progetto ben definito dal mercato. Avere il mercato in mano significa avere tutto e non è affatto folle dire di avere in pungo anche la vita. E qui tocchiamo solo la punta di un iceberg molto profondo che prima o poi si infrangerà contro equilibri ormai precari.

Molte volte vedo e sento persone lamentarsi della presenza cinese in territorio italiano, o meglio per la presenza di negozi cinesi. La loro rabbia si rivolge verso un'ipotetica ruberia di lavoro da parte loro o per la mancanza di integrazione che li porta a vivere, parlare, mangiare e lavorare solo cinese. L'italiano si sente spodestato delle proprie possibilità o di un ipotetico rispetto che gli debba essere dovuto. Ma il problema è ben più radicato. La cultura cinese di per se non sarà mai come quella italiana, espansiva, calorosa o amichevole perché la loro vita è stata vissuta in maniera autarchica sia nel loro paese che qui!

Il fatto che ci siano sempre più negozi cinesi rispetto a quelli italiani è dovuto ad aiuti imprenditoriali fra gli stessi cinesi in cui il meccanismo non è affatto cooperativo come si potrebbe pensare ma di vero e proprio strozzinaggio in cui il prestito iniziale per l'attività deve essere restituito per intero con interessi mensili da far girare la testa. I soldi guadagnati da questi negozi devono arrivare a costituire l'importo iniziale, ma anche bastare per pagamenti mensili e per loro stessi. Una sorta di debito a lungo termine, se non a vita. Non tutti i cinesi sono chiusi o freddi, queste sono caratteristiche che hanno principalmente i cinquantenni in su. I giovani sono quelli più aperti, che hanno voglia di integrarsi e di imparare la lingua perché venuti in Italia da piccoli e quindi abituati a vivere in maniera leggermente italiana e in generale molto più curiosi di scoprire qualcosa di nuovo. La maggior parte dei cinesi in Italia, provengono dallo Zhanjiang fuggendo da una situazione lavorativa al limite. Come già detto le uniche possibilità di salvezza alla povertà sono rinchiudersi in una fabbrica o prostituirsi se si è donne e bambine. O venire in altri paesi.

Direi quindi che non è il caso di lamentarsi della loro presenza, e oserei dire di ringraziarli per il loro sacrificio invano, nella speranza di un futuro personale migliore, dal momento che se in quelle fabbriche non ci fosse stata una forza lavoro tanto grande come loro il 90% delle cose che abbiamo in casa, non ci sarebbe. E sfido chiunque a dire il contrario.

Come al solito vi lascio qualche link utile e vi chiedo sempre di mantenere gli occhi aperti e di pensare con la vostra testa. Fortunatamente il cervello è una cosa fatta a mano da noi. Impariamo ad usarlo.

“The Real Toy Story” by Michael Wolf:Un reportage fotografico delle reali condizioni e delle vere persone che stanno dietro i giocattoli per bambini che trovate nei supermercati e nelle mani dei vostri figli. Il sito è ricco di altri reportage sempre sulla Cina e sulla sua urbanistica fatta di case una sull'altra e di palazzi tutti uguali in cui l'uomo diventa il topo nella trappola. http://photomichaelwolf.com/#

Link filmati utili: FOXXCON: https://www.youtube.com/watch?v=t25DM0zCrOU&list=PLD921BE89867A6522&index=14

https://www.youtube.com/watch?v=WlSHo61nRWw&list=PLD921BE89867A6522&index=15

https://www.youtube.com/watch?v=h1_XAuJ8qCc&list=PLD921BE89867A6522&index=16

https://www.youtube.com/watch?v=yF8jUDzz5bE

ITALIANI MADE IN CHINA: Docu-fiction a puntate basato sulle storie e sulla vita di 6 ragazzi cinesi, nati o portati da molto piccoli in Italia e sull'esperimento di riportarli in Cina per un mese facendogli conoscere le loro vere origini e la cultura originale. Interessante vedere che dall'inizio alla fine c'è un percorso che trasforma questi 6 giovani. https://www.youtube.com/watch?v=-X9lb3DBgM0&list=PLTQUh1q_EYEvP_QbLQyYYHqz7S49zZ5fM

BREVI DOCUMENTARI: http://www.raiscuola.rai.it/articoli/cina-oggi/3946/default.aspx

http://www.raiscuola.rai.it/articoli/il-confucianesimo-oggi-in-cina/4547/default.aspx

http://www.raiscuola.rai.it/articoli/cina-gli-anni-cinquanta-lepoca-di-mao-tze-tung/8093/default.aspx

Libro Inchiesta: CHI HA PAURA DEI CINESI: Lidia Casti e Mario Portanova

http://www.amazon.it/Chi-paura-dei-cinesi-Futuropassato-ebook/dp/B00DSOJC0Y/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1450446401&sr=8-1&keywords=chi+ha+paura+dei+cinesi

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